18 maggio 2023

 

QUALCHE RIGA PER COMINCIARE

Manuela Poggiato 

 

Dopo qualche mese dal pensionamento, ho avuto voglia di iniziare un nuovo volontariato, sanitario questa volta. Con qualche difficoltà che non avrei mai creduto di incontrare, sono approdata a un poliambulatorio che garantisce a tutti, italiani o stranieri, per i più diversi motivi senza accesso all’assistenza sanitaria, di curarsi, di essere sottoposti alle appropriate visite mediche e ricevere farmaci gratuitamente. Lo ha detto recentemente anche Francesco:

Il ritorno della «povertà di salute» sta assumendo […] proporzioni importanti, […] ci sono persone che non riescono a curarsi, che hanno problemi a pagare il ticket e ad accedere ai servizi sanitari a causa delle lunghissime liste d’attesa anche per visite urgenti. Privarle di medicine è «un’eutanasia nascosta.

 

Più di duecento medici volontari, attività di base, praticamente tutte le discipline specialistiche odontoiatria compresa e una farmacia interna. Il primo giorno, la mia attenzione è stata colpita dalle tante persone in fila fuori in attesa del proprio turno. Dentro tutto in ordine e pulito, tranquillità, lavoro. Principi ben precisi regolano le attività: tutto gratuito certo, ma gli orari e gli appuntamenti vanno rispettati rigidamente e se le persone non si presentano per due volte nelle date fissate non saranno più seguite. Gli infermieri telefonano a casa per capire come mai il controllo previsto sia andato a vuoto. Lo stesso avviene per l’eventuale perdita delle ricette.

 

A ogni primo accesso la visita è completa, indipendentemente dai problemi: in occasione dei controlli, invece, si analizza soltanto il problema del momento. Il malato non chiede ciò che vuole, «questo non è un supermercato» ricorda l’infermiere con cui lavoro, non si fanno checkup, si risponde a bisogni perché le competenze e i ruoli vanno rispettati e le risorse, si sa, non sono infinite. Dopo la visita di base eventuali accertamenti specialistici vengono organizzati subito, si esce con le date degli appuntamenti in mano e se non è possibile farlo in quel momento ci sarà un contatto telefonico. È l’infermiere che, sotto dettatura, scrive al computer così il medico ha tempo di ascoltare, visitare, pensare, guardare negli occhi la persona che ha di fronte perché si sa che guardando negli occhi si capiscono al volo tante cose spesso più che usando le parole.

 

L’ultima volta che sono stata al poliambulatorio ho chiesto di fare un turno in più, un paio al mese mi sembravano proprio pochi. Mi sono stupita della risposta non positiva: ci sono così tanti nuovi inserimenti di medici volontari che i giorni disponibili sono esauriti, coprirò tuttalpiù qualche assenza improvvisa. E allora non posso non pensare ai tanti medici che se ne vanno dai nostri ospedali e dalla medicina di base, molti pensionati non sostituiti certo, tanti abbruttiti dai duri anni della pandemia, ma soprattutto sanitari esausti perché in pochi a coprire turni frequenti con scarsi giorni di recupero, ferie ridotte, tante le attività richieste, oltre ai reparti, day hospital e ambulatori specialistici sia in ospedale sia sul territorio.

 

Per non vedere completamente distrutto il nostro sistema sanitario, non bisogna solo lavorare sulla sua spesa, che in Italia     peraltro nel 2025 si attesterà solo al 6% del PIL, ma sulle motivazioni personali perché attualmente le professioni sanitarie, mediche e infermieristiche, non sono più considerate attrattive, sono poco soddisfacenti, mal retribuite, offrono scarse possibilità di carriera e sono considerate a rischio fisico e psicologico. Non è solo un problema di quanti soldi servono, ma di che servizio vogliamo offrire. Il nostro sistema sanitario, fondato nel 1978, era basato su concetti come equità, uguaglianza, universalità, parole sostituite da spesa, liste d’attesa, migrazione sanitaria e privatizzazione, termini che disattendono e sostanzialmente tradiscono i suoi principi fondanti.