Che dire della satira?

Charlie Hebdo fa da sempre una satira aggressiva, politicamente scorretta, irritante e a volte disturbante.  Lo ha fatto anche con il terremoto di agosto nel centro Italia e con le vittime dell’albergo abruzzese, indignando l’opinione pubblica italiana forse più delle vignette che hanno scatenato la vendetta islamica del 7 gennaio 2015.

 

Per sua natura la satira non è semplicemente comunicazione ironica per far ridere, può essere violenta e dissacrante, generare volutamente disgusto, in maniera funzionale al suo obiettivo, per amplificare i suoi messaggi. La satira può essere anche paradossale, negazione della morale comune, può cercare di sconvolgere per risultare meglio efficace. In questi casi è più simile ad Aristofane o a Dante che nel XIX canto dell’Inferno raffigura papa Niccolò III con la testa e il busto ficcati in un pozzetto sgambettante con piante dei piedi incendiate che alle divertenti parodie di politici e vezzi nostrani messi in scena da Crozza­­­.

 

Maria Rosa Zerega, sul n. 495 di Nota-m, ha sostenuto che si può dissentire con Charlie Hebdo, ma non si può censurare, quantunque rivoltanti le sue vignette, in nome di un fondamentale diritto di espressione, pilastro delle nostre libertà liberali e occidentali.

 

Giusta o sbagliata, lecita o illecita? La satira deve avere dei limiti?

 

Per approfondire:

due interventi di segno contrario riportati da gli StatiGenerali, testata online tra giornalismo classico e social media:

 

dall’archivio on line delle rivista IL MARGINE, mensile dell’associazione culturale “Oscar A. Romero” di Trento