AMMINISTRATIVE – DOPO IL PRIMO TURNO
C’era una volta il partito democratico, il Pd, che magari scricchiolava sul piano nazionale, ma che spopolava alle amministrative con uno stuolo di formidabili personaggi. Ora se il segretario dice che non è contento, si vede che sono andate proprio male! Dire che le elezioni amministrative non influiscono sul governo è una banalità, come dire votiamo per mandarlo a casa (Renzi). Però qualche riflessione dovrà pur essere fatta e chissà quanti, anche molto qualificati, in questo momento ci stanno provando. Cercherò di farlo anch’io, a modo mio.
Molto difficile esprimere delle considerazioni di carattere generale perché i quattro casi che vorrei esaminare sono molto differenti tra loro. Due sono scontati: Napoli e Roma. Il primo per la forte posizione del sindaco uscente, forse un po’ troppo ruspante ma ai suoi concittadini piace così. Roma sconta un passato incredibile – la gestione Alemanno – alla quale il Pd non ha saputo opporre una degna riforma, perché Marino è stata una persona sbagliata in un posto sbagliato. Torino, a mio avviso, costituisce la vera sorpresa il ché mi consente di fare un ragionamento anche sull’altra super donna di Roma. Virginia Raggi e Chiara Appendino sono non solo due ottime candidature ma, e soprattutto, l’esempio di due raffinati stili politici. Vero che l’opposizione è infinitamente più facile del governo, specie in tempi di bassa congiuntura, però presentarsi senza esperienza, senza programma e senza squadra, evitando qualsiasi confronto – forse salvo uno, a Torino – e ottenere quei risultati è esempio di grande abilità personale. Ottenere il voto degli elettori dichiarando che in presenza di problemi chiederemo alla rete bisogna proprio rivolgersi a persone che sono disposte a tutto pur di cambiare. A Roma, le cose stanno così, e Giachetti ha fatto un mezzo miracolo.
E poi c’è il problema tutto speciale di Milano. La sinistra dava per scontata la ripresentazione di Pisapia, la migliore consiliatura (se così si può dire) da decenni. Il suo forfait, i tempi e i modi, ha suscitato critiche e dissensi. Idem puntare su una vicesindaca, brava certamente soprattutto a far quadrare i conti (che non è male!), ma poco legata alla città (ex Genova). Sala ha vinto le primarie, certo, ma anche lui era un poco “paracadutista”, il segretario che lo ha fortemente sponsorizzato ha confidato troppo sull’effetto Expo e non ha considerato a sufficienza che gli italiani, e anche i milanesi, perdono rapidamente la memoria. Però la squadra che Sala, e il Pd, hanno costruito dà un certo affidamento per una continuità con la precedente giunta, ma soprattutto mi terrorizza l’idea di una nuova giunta simil Moratti, crisi nel verde, automobilisti liberi tutti dappertutto, altro cemento, altro allargamento della città e chi peggio ne ha più ne metta.
E veniamo al partito. Se l’occasione servirà a convincere che il partito deve avere una struttura normalmente operante e un segretario non a mezzo servizio col governo sia la benvenuta. Non è questo un errore di Renzi ma dello statuto. Questo abbandono della briglia al collo produce un fenomeno analogo a quello di un tempo: il partito localmente perde la qualità di soggetto e diventa un oggetto per raggiungere altri e magari nobili fini. Ma così da un certo momento in poi la sua efficienza cessa e diventa un’altra cosa, non più un raccolta-dibattito di idee che poi si traducono in consenso. Sarà interessante, visto che il segretario ha detto che ora si cambia, vedere se, come e con quali prospettive.